Rimessa alla Corte Costituzionale la legge 69/2019 “codice rosso”

La Corte di Appello di Bologna – sez I, con ordinanza de 26.11.2019 depositata in Cancelleria il 16.12.2019, ha sollevato la questione di costituzionalità

in riferimento agli art.li 3,13, 25 co. 2, 117 Cost. in relazione all’art. 7 CEDU (…) dell’art. 656 co. 9 lett. a) c.p.p. nella parte in cui, richiamando l’art. 572 comma 2 c.p., come riformato dall’art. 9 Legge 69/2019, prevede che il reato di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori è ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione, senza prevedere un regime transitorio che dichiari applicabile tale norma solo ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della Legge 69/2019. Dispone la sospensione del giudizio e l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento”

Di seguito l’incidente di esecuzione depositato:

CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA

In funzione di Giudice dell’esecuzione

Incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 666 cpp

Il sottoscritto Avv. Cristian Brighi del foro di Rimini, difensore di fiducia del sig. XXXXXXX, nato in XXXX il 0X.0X.XXXX ed ivi residente alla via XXXXXX n. XXX, elettivamente domiciliato presso lo studio del suddetto difensore in Rimini alla via Flaminia n. 187/L

Premesso che

– nei confronti del sig. XXXXXX è in esecuzione la sentenza n. 2405/19 Reg. Gen. n. 6497/18 – RGNR n. 2521/17 emessa in data 11.04.2019 dalla Corte d’Appello di Bologna sez. I in riforma delle Sentenza n. XXXX/18 del 31.05.2018 Tribunale Ordinario Rimini, divenuta definitiva in data 26.07.2019 (all.1);

– in data 27.09.2019 è stato notificato al sig. XXXXXX l’ordine di carcerazione n. SIEP 556/19, relativo alle pena da espiare pari ad anni 1 mesi 1 giorni 15 già detratti i periodi di presofferto (all. 2);

– pertanto, in pari data, è stato scortato presso la locale Casa Circondariale di Rimini, ove attualmente si trova ristretto, senza neppure la previa notifica al sottoscritto difensore, il quale è stato reso edotto telefonicamente dal XXX mentre veniva eseguito l’ordine di carcerazione.

– il sig. XXXXX è stato condannato per un reato che risulta essere ostativo alla contestuale sospensione dell’ordine di carcerazione soltanto in seguito alla Legge 19 Luglio 2019 n. 69. Infatti si legge nell’ordine di carcerazione: il presente ordine d’esecuzione viene emesso in ottemperanza al disposto dell’art. 656 comma 9 lett. a) cpp, riguardando reati commessi in violazione del comma 2 dell’art. 572 cp come introdotto dall’art. 9 Legge 19.07.2019 n. 69, facente riferimento ai fatti commessi in presenza di persone minorenni; norma applicabile al rapporto esecutivo in esame in ragione del principio tempus regit actum regolante la materia esecutiva.

CONSIDERATO CHE

La legge 19 luglio 2019 n. 69 (con entrata in vigore il 09.08.2019) ha introdotto la fattispecie aggravata di cui all’art. 572 comma 2 cp, che non consente la sospensione dell’ordine di carcerazione, ai sensi dell’art. 656 comma 9 lett. a).

Il sig. XXXX è stato condannato, tra l’altro, per gli artt. 61 n. 11 quinquies e 572 c.p. con sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bologna, a seguito di concordato, in data 11.04.2019 divenuta irrevocabile il 26.07.2019.

L’istante, prima della riforma summenzionata, avrebbe verosimilmente beneficiato automaticamente della sospensione dell’ordine di carcerazione.

Il comma 2 dell’art. 572 c.p. è certamente norma sostanziale, ed essendo una modifica in peius per il condannato, poiché comporta il divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione, si ritiene non possa trovare applicazione al caso di specie ai sensi dell’art. 2 c.p. in quanto entrata in vigore successivamente alla commissione dei fatti nonché al passaggio in giudicato della sentenza.

Anche volendo seguire l’iter argomentativo esposto nell’ordine di carcerazione (il presente ordine d’esecuzione viene emesso in ottemperanza al disposto dell’art. 656 comma 9 lett. a) cpp, riguardando reati commessi in violazione del comma 2 dell’art. 572 cp come introdotto dall’art. 9 Legge 19.07.2019 n. 69… norma applicabile al rapporto esecutivo in esame in ragione del principio tempus regit actum regolante la materia esecutiva) non può sottacersi il disappunto ed il grave vulnus  arrecato ai principi costituzionalmente garantiti.

Si ritiene non condivisibile l’assunto secondo il quale al rapporto esecutivo si applichi il principio tempus regit actum stante le concrete implicazioni sostanziali che dette norme hanno sulla natura afflittiva della pena che comportano un grave pregiudizio sul condannato. Stante, altresì, l’imprevedibilità delle conseguenze delle proprie azioni delittuose che va certamente a ledere il principio di certezza della pena nonché del diritto di difesa.

Non è accettabile cambiare le “regole del gioco” in itinere.

Tutt’al più in applicazione del principio tempus regit actum la corretta norma da applicare era la previgente avuto riguardo al passaggio ingiudicato della sentenza avvenuto il 27 luglio 2019 (momento nel quale si cristallizza concretamente la pretesa punitiva dello Stato nei confronti del condannato). A tale data la modifica  non era entrata in vigore, non esisteva.

Situazione sovrapponibile al caso che ci occupa, si è verificata con la Legge 16.01.2019 n. 3 (definita “spazzacorrotti”) che è intervenuta sul testo dell’art. 4 bis O.P., introducendo nel novero dei reati che impediscono la concessione delle misure alternative alla detenzione anche le fattispecie delittuose contro la P.A. (tra cui l’art. 314 comma 1).

Tale modifica ha comportato che, in relazione alle sentenze definitive di condanna per uno di tali reati, il Pubblico Ministero non debba più disporre la sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione, posto che l’art. 656 comma 9 cpp prevede per i reati ex art. 4 bis O.P. l’impossibilità di sospensione, come disciplinato dal comma 5.

Le conseguenze e l’ambito applicativo della Legge “spazzacorrotti” è stato affrontato da diversi Giudici dell’esecuzione poiché tale modifica ha comportato per il condannato gravose conseguenze, cambiando le condizioni  richieste per poter accedere alle misure alternative e così derogando al principio generale della sospensione dell’ordine di esecuzione della pena.

Vien da se che la domanda da porsi sia se possa trovare applicazione la nuova formulazione dell’art. 656 comma 9 cpp, in combinato disposto con l’art. 4 bis O.P. o con il nuovo art. 572 comma 2 c.p. per ciò che riguarda la presente esecuzione, per tutte le esecuzioni in corso al momento della sua entrata in vigore o se sia individuabile un limite temporale dal quale la norma di nuova introduzione possa produrre effetti.

Il GIP del Tribunale di Como (provvedimento del 08.03.2019), ha avuto modo di affrontare la delicata questione, ove in assenza di disciplina transitoria della Legge “spazzacorrotti”, ha ritenuto non applicare la nuova disposizione nei confronti di persona condannata per il reato ex art. 314 cp per fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, dichiarando la temporanea inefficacia  dell’ordine di carcerazione per la durata di trenta giorni.

In assenza di una chiara scelta del legislatore, è demandata al giudice la decisione di valutare la natura sostanziale o processuale della norma di nuova introduzione e verificare se in ossequio ai principi cardine del nostro ordinamento giuridico (art. 25 costituzione, art. 2 c.p.) nonché all’art. 7 CEDU debba essere dichiarata l’irretroattività della norma penale più sfavorevole  per i condannati che abbiano commesso il fatto in epoca antecedente alla entrata in vigore della modifica peggiorativa.

Si è consci che vi sia orientamento giurisprudenziale che ritiene la natura processuale delle norme concernenti l’esecuzione della pena, in quanto non attengono né alla cognizione del reato, né all’irrogazione della pena ma alle modalità esecutive di espiazione della stessa. Anche per ciò che riguarda l’art. 656 cpp la Cassazione si è espressa negli stessi termini: trattasi di norma processuale sottoposta al principio tempus regit actum che impone di applicare le leggi vigenti al momento della loro applicazione.

Tali orientamenti non possono essere condivisi in radice.

Come ben argomentato dal GIP di Como, tale soluzione interpretativa è ancorata ad un approccio formalistico senza affrontare in concreto la questione degli effetti sostanziali prodotti dalla applicazione della norma e pertanto lo stesso ha ritenuto di non poter aderire a questo orientamento.

Le norme di riferimento da analizzare sono gli art. 25 cost., art. 2 c.p. nonché l’art. 7 CEDU la cui ratio è quella di tutelare i cittadini rispetto ai possibili abusi del potere legislativo e di non consentire che si possano subire conseguenze penali afflittive in virtù di leggi entrate in vigore successivamente alla commissione del reato.

Osserva il giudicante che non può non riconoscersi oggi che quelle che, con una “truffa delle etichette”, vengono considerate norme meramente processuali perché attinenti alle modalità di esecuzione della pena siano in realtà norme che incidono sostanzialmente sulla natura afflittiva della pena: una modifica legislativa peggiorativa di tali norme, può determinare gravi pregiudizi per il condannato ed aggredire in modo significativo il bene giuridico della libertà personale.

La stessa CEDU in una nota sentenza, ha sottolineato che è necessario andare al di là delle apparenze per valutare se una data misura costituisca pena, verificando innanzi tutto se essa sia stata imposta a seguito di condanna per un reato, per poi attribuire rilievo ad altri elementi  come la natura e lo scopo della misura in questione, la sua qualificazione nel diritto interno, le procedure correlate alla sua adozione ed esecuzione (sentenza 09.02.2005, causa n. 307-A/1995, Welch contro Regno Unito).

Questa impostazione sostanzialistica è stata abbracciata dalla stessa Corte Costituzionale in merito alla possibile applicazione retroattiva di nuove forme di confisca obbligatoria introdotte in conseguenza della commissione di particolari reati.

In questa sede la Corte, superando il mero riferimento nominalistico e formalistico delle misure di sicurezza, che in quanto tali avrebbero dovuto sottostare al principio tempus regit actum, ha ritenuto che le nuove misure avessero contenuto afflittivo o comunque intrinsecamente punitivo, concludendo per la inapplicabilità retroattiva nei confronti di coloro che avevano commesso tali reati prima della entrata in vigore (Corte. Cost. n. 196/2010 e Corte Cost. n. 223/2018).

E’ pacifico che il bene primario della libertà personale può in concreto essere aggredito tanto dalla legge penale c.d. sostanziale quanto dalla legge processuale quando questa, al di la del nomen iuris è in grado di comportare conseguenze afflittive.

Le conseguenze dell’applicazione della modifica normativa peggiorativa per colui  che ha commesso il fatto  prima della sua entrata in vigore, si riverberano in fatto non semplicemente sulla modalità di esecuzione della pena ma sulla stessa natura della sanzione che nella sua fase iniziale impone la detenzione anche se il soggetto risulterà meritevole di una misura alternativa, con possibilità di accesso alla misura solo in un secondo momento.

Inutile dire che il XXXXXXXX, totalmente reinserito nel contesto socioeconomico del proprio luogo di residenza, perderà il lavoro e dovrà nuovamente principiare un assurdo percorso di reinserimento sociale, tutto questo pare in antitesi con il principio rieducativo al quale dovrebbe anelare la pena comminata per conosciuto dettato costituzionale.

La disposizione ex art. 656 comma 9 lett. a) è norma fondamentale  poiché la possibilità di sospendere l’ordine di esecuzione scongiura l’effetto desocializzante e criminogeno correlato al passaggio diretto in carcere del reo nei casi in cui lo stesso avrebbe avuto diritto alla misura alternativa.

La disposizione in esame non può essere aprioristicamente etichettata come norma processuale ed infatti le eccezioni alla regola previste dal 656 comma 9 lett. a) non incidono semplicemente sulle modalità esecutive della pena, ma in concreto impongono il regime detentivo in attesa della decisione del magistrato di sorveglianza sul possibile accesso alla misura alternativa.

Pertanto applicare retroattivamente una norma che trasfigura il contenuto della sanzione e farla valere anche per chi è stato condannato per un fatto commesso antecedentemente, significa violare l’art. 117 cost. integrato dall’art. 7 CEDU  nonché gli art. 25 comma 2 cost. e 2 cp, norme il cui raggio di operatività non può non estendersi a tutte le disposizioni che, a prescindere dalle etichette come nel caso di specie, abbiano un contenuto afflittivo o intrinsecamente punitivo.

Significa, altresì, sanzionare in maniera pesantemente pregiudizievole un soggetto che all’epoca della commissione del fatto, poteva fare affidamento sull’esistenza di una disposizione penale che non prevedeva il divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione.

Codesta difesa, condividendo appieno il ragionamento del GIP di Como corredato da concrete e lineari motivazioni, non può che farlo suo ritenendo ulteriormente sovrapponibile al caso concreto quivi esposto.

Altra pronuncia interessante si rinviene nella ordinanza della Corte d’Appello di Lecce (n. 115 del 04.09.2019) sempre con riferimento alla modifica introdotta dalla legge 3/2019 nei confronti di un condannato per il delitto di peculato commesso antecedentemente alla modifica.

La Corte ha ritenuto non poter accogliere le richieste del difensore, avuto riguardo al diritto vivente per il quale le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive attengono alle modalità esecutive delle stesse e pertanto soggiacciono al principio tempus regit actum.

Ha, tuttavia, sottolineato che è indubbio che nella più recente giurisprudenza della CEDU, ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali, i concetti di illecito penale e di pena abbiano assunto una connotazione anticonformista e sostanzialistica, privilegiandosi alla qualificazione formale data dall’ordinamento, la valutazione in ordine al tipo, alla durata, agli effetti nonché alle modalità di esecuzione della sanzione o della misura imposta (sentenza CEDU caso De Rio Prada contro Spagna del 21.10.2013).

Il Giudice dell’esecuzione ha ritenuto altresì suggestivo e meritevole di valutazione la prospettazione difensiva per la quale l’avere il legislatore mutato la normativa in itinere senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformità con l’art 7 CEDU e l’art. 117, cost. in quanto per il condannato si traduce in un passaggio a sorpresa, e dunque non prevedibile, da una sanzione senza assaggio di pena ad una sanzione con necessaria incarcerazione.

La Corte ha, pertanto, sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 comma 1 lettera b) Legge 3/2019 nella parte in cui ha inserito  i reati contro la pubblica amministrazione ed in particolare l’art., 314 cp tra quelli ostativi alla concessione di alcuni benefici penitenziari ai sensi dell’art. 4 bis O.P. per il rilevato contrasto con gli artt. 3, 25 comma e 177 cost. in riferimento all’art. 7 CEDU, senza provvedere un regime transitorio che dichiari applicabile la norma ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore, sospendendo il processo con l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Il giudicante, quanto meno, ha ritenuto la questione meritevole di approfondimento e di tutela, ravvisando profili di incostituzionalità.

Si ritiene che le conclusioni alle quali sia approdata la Corte d’Appello di Lecce possano essere trasfuse al caso concreto in quanto, ad oggi, manca una norma transitoria di coordinamento tra la novella fattispecie ex art. 572 c.p. e l’art. 656 comma 9 lett. a).

L’assenza di una norma transitoria non permette di fare decorrere l’efficacia delle più restrittive disposizioni introdotte successivamente alla commissione del fatto.

Modifiche che comportano una sostanziale modificazione dello stato di libertà personale, non possono considerarsi fenomeno privo di rilievo sotto il profilo costituzionale.

Così, per quanto concerne il principio costituzionalmente garantito di affidamento, vi sarebbe una violazione dello stesso quando le concrete ricadute negative previste da una disposizione normativa conseguano non alla condotta dell’imputato/condannato bensì da fattori esterni, aleatori, del tutto sottratti alla sua sfera di controllo (Cass. Sez. Un. 12.07.2007 n. 27614), escludendo, per tali motivi, la modifica retroattiva in peius di misure cautelari  (Cass. Sez. Un. 14.07.2011 n. 27919) evidenziando che in ordine alle norme processuali, occorre adottare un approccio sostanzialistico, valutandone in concreto l’effettivo impatto sui diritti fondamentali (in primis sulla libertà personale)

In conclusione, un soggetto nel momento in cui commette un fatto-reato deve avere la certezza della pena che potrà essere comminata e poter prevedere ciò che potrà succedere all’esito del processo, ivi compresa la modalità di esecuzione della pena anche al mero fine di poter porre in essere la miglior difesa possibile.

Stravolgere le carte in tavola in itinere rende dubbiosa e non conoscibile la pretesa punitiva dello stato e la sua concreta applicazione.

Nel caso di specie, il sig. XXXX se fosse stato a conoscenza della novella normativa e quindi se la stessa fosse stata in vigore all’epoca dei fatti o comunque conoscibile in tempi utili avrebbe potuto valutare un concreto rimedio alla sua situazione, anche in ambito lavorativo, financo rinunciando al concordato in appello ovvero proporre ricorso per Cassazione nonché, nella consapevolezza della notifica dell’ordine di carcerazione, presentare immediatamente l’istanza di misura alternativa alla detenzione.

Per il XXXX l’ordine di carcerazione senza sospensione è stata una vera e propria “doccia fredda” che gli ha impedito fattivamente di valutare anche eventuali strategie processuali.

Tanto premesso, il sottoscritto difensore

CHIEDE CHE

l’Ecc.ma Corte d’Appello adita Voglia, ai sensi dell’art. 666 c.p.p. disporre la sospensione dell’ordine di esecuzione, dichiarando l’inefficacia temporanea dello stesso, con pedissequa fissazione dell’udienza in camera di consiglio o, in subordine, si invita l’adita Corte di Appello a sollevare questione di illegittimità costituzionale in relazione alla mancata applicabilità dell’art. 2 c.p. al rapporto esecutivo in violazione e contrasto con i principi affermati dagli artt. 3, 25, 111, 117 cost. in riferimento all’art. 7 CEDU.

Rimini lì, 03.10.2019                                                                                                                       

Avv. Cristian Brighi

Allegati:

1) sentenza n. 2405/19 Corte d’Appello di Bologna.

2) Ordine di carcerazione n. SIEP 556/19.