L’interesse ad impugnare ex art. 568 c.p.p.

L’articolo 568 comma 4 del Codice di Procedura Penale recita “per proporre impugnazione è necessario avervi interesse” ed in tal modo individua uno dei due requisiti necessari all’impugnazione, di concerto con la legittimazione, la quale spetta unicamente alla cerchia di soggetto giuridici a cui la  legge espressamente la conferisce. Cosa debba intendersi per “interesse all’impugnazione” non è tuttavia di facile definizione posto che il dettato normativo non specifica ulteriormente tale requisito.

 La giurisprudenza di legittimità in più occasioni ha chiarito come tale interesse debba ritenersi intrinsecamente connesso con il raggiungimento di una prospettiva utilitaristica nella sfera giuridica del soggetto. Tale situazione più vantaggiosa può caratterizzarsi tanto in chiave positiva, vista come il conseguimento di una decisione più favorevole rispetto a quella oggetto di gravame, tanto in chiave negativa, consistendo nella rimozione di uno svantaggio processuale (Cfr. Cass. pen. SSUU sent. 6624/2011).       

All’interno delle sfumature interpretative del concetto di “interesse ad impugnare” si inserisce una vicenda curata dal presente Studio Legale approdata, nella sua necessaria funzione nomofilattica, alla Suprema Corte di Cassazione.

L’imputato era stato fermato con la sua autovettura dalle Forze dell’Ordine per un controllo di routine e, in tale sede, le autorità avevano rinvenuto occasionalmente una mazza da baseball nel bagagliaio della vettura. Nell’immediatezza è stata contestata al soggetto la violazione dell’articolo 4 della legge 110 del 1975 nella misura in cui, senza giustificato motivo, trasportava fuori dalla propria abitazione e dalle sue pertinenze tale oggetto.

Si rende a questo punto necessario un breve approfondimento sulla disposizione normativa violata, l’articolo 4 della legge 110/1975 distingue astrattamente gli oggetti per i quali è previsto il reato di porto abusivo in due categorie; la prima ricomprende quelli menzionati nella prima parte del testo (bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio, mazze, tubi, ecc.) i quali risultano equiparati alle armi improprie e per i quali la sola detenzione ingiustificata costituisce di per sé reato, mentre, per quanto riguarda gli altri oggetti non indicati in dettaglio caratterizzabili come oggetti atti ad offendere, sussiste invece l’ulteriore condizione di risultare “per le circostanze di tempo e di luogo” utilizzabili per offendere la persona (Cfr. Cass. pen. sent. 32269/2003 e Cass. pen. sent. 10279/2012). Il trattamento giuridico delle due categorie è lievemente differente posto che per i soli oggetti atti ad offendere può ravvisarsi l’ipotesi della lieve entità con conseguente irrogazione di una pena unicamente pecuniaria, mentre, in linea generale, il contravventore viene punito con una pena sia detentiva che pecuniaria. La cornice edittale della pena ha inoltre subito una modifica ad opera del d.lgs. 204/2010 con decorrenza 1 luglio 2011 per cui, se in precedenza il contravventore rischiava l’arresto da un mese a un anno, oggi la cornice spazia da un minimo di sei mesi a un massimo di due anni mentre, a livello pecuniario, se la sanzione prima oscillava tra i 51 e i 206 euro, oggi si situa tra i 1000 e i 10000 euro.

Nel caso di specie il Tribunale di Rimini, pur in una istruttoria tesa alla dimostrazione della sussistenza del giustificato motivo,  riconosceva erroneamente l’attenuante del fatto di lieve entità non considerando come la mazza da baseball dovesse senza dubbio essere annoverata tra le armi improprie e condannava l’imputato a una pena unicamente pecuniaria, peraltro errata nella misura in quanto irrogata utilizzando la cornice edittale precedente la riforma, errando pure la data del commesso reato nel capo di imputazione. Stante il dettato del terzo comma dell’articolo 593 c.p.p. l’appello è precluso per le sentenze applicanti la sola pena dell’ammenda, per tale motivo si ricorreva così in Cassazione al fine di ottenere il rinvio della questione di fronte ad un altro organo giudicante. La Suprema Corte tuttavia, motivando succintamente, dichiarava la questione inammissibile per carenza del requisito dell’interesse all’impugnazione.

Neppure la memoria ex art. 611 c.p.p. tempestivamente depositata riusciva a far ritenere ammissibile il ricorso presentato, a seguito della quale ammissibilità il reato sarebbe comunque andato estinto per intervenuta prescrizione.

In realtà, nel caso di specie, il requisito dell’interesse ad impugnare è fortemente presente in relazione al diritto di difesa il quale risulta evidentemente compresso. A prescindere infatti dal più generoso trattamento sanzionatorio applicato dal giudice di prime cure resta che l’erronea applicazione della pena dell’ammenda in luogo di arresto e ammenda ha precluso al contravventore la possibilità di fruire del doppio grado di giudizio di merito garantito dal nostro ordinamento. Tale diritto, pur non essendo sintetizzato espressamente da nessuna norma, si è formalizzato nell’istituzione dello strumento dell’appello che, garantendo al soggetto la possibilità di ottenere sulla medesima vicenda una seconda valutazione destinata a prevalere sulla prima, costituisce una garanzia edificante di difesa. L’importanza rivestita dalla possibilità di ottenere una seconda valutazione di merito su una medesima questione si evince anche dalla lettura dell’articolo 2 Protocollo VII della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali la quale solennemente proclama “Ogni persona dichiarata rea da un tribunale ha il diritto di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza o la condanna da un tribunale della giurisdizione superiore.Ed appunto, nel corso di un secondo grado di merito, il signor J. avrebbe avuto un’altra occasione per sottoporre di fronte a una Corte quei “giustificati motivi” che lo portavano a trasportare con sé quell’oggetto, nel caso di specie motivazioni ludiche.

Non può tacersi il fatto che l’istruttoria dibattimentale era stata incentrata su tale punto, ove si ritenevano dimostrati elementi volti a giustificare il trasporto della mazza da baseball nel bagagliaio. L’imputato unitamente ad un amico, in abiti sportivi, stava andando da parenti prossimi del primo (che vivono a latere di un parco) i quali custodivano temporaneamente il cane dello stesso; la mazza da baseball era funzionale in quella giornata di inizio autunno per far giocare il proprio animale nel parco mediante l’ovvio lancio della palla (nello specifico da tennis).

Questa ricostruzione dibattimentale, disattesa da giudice di prime cure, ben poche possibilità aveva (come dimostra l’inammisibilità anche su tale punto, non potendo certamente la Suprema Corte rielaborare la ricostruzione effettuata dal giudice di merito in assenza di evidente “mancanza, contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione”) di essere considerata ammissibile in assenza del, a parere dei sottoscritti, doveroso secondo grado di giudizio nel merito.

Non può dunque dubitarsi che il ricorrente avesse avuto un effettivo interesse all’impugnativa, la quale avrebbe senza dubbio potuto garantirgli un risultato più favorevole consistente in un’eventuale sentenza assolutoria a seguito di rinvio di fronte ad un altro organo giudicante.

Avrebbe peraltro dovuto riqualificarsi come appello quel ricorso per Cassazione proposto avverso la sentenza del Tribunale di Rimini posto che, come si evince da copiosa giurisprudenza (Cfr. Cass. pen. sent. 6577/1994, Cass. pen. sent. 1644/2002), un errore del giudicante che applichi la pena pecuniaria in luogo di quella sia detentiva che pecuniaria non può mutare il regime delle impugnazioni e privare il soggetto del suo diritto al doppio giudizio di merito.

Eppure, l’asciutta motivazione della sentenza recita “I primi due motivi di ricorso sono inammissibili perché manca l’interesse all’impugnazione. E in vero, oltre a rappresentare l’errore nella data indicata come quella del commesso reato, peraltro, rilevabile ictu oculi dalla lettura degli atti del fascicolo processuale, si limita a reclamare la quantificazione del fatto come reato più grave di quello ritenuto in sentenza (art. 4, comma 1 anziché comma 3 della legge 110/75) ed una sanzione più elevata (da € 1.000,00 ad € 10.000,00)rispetto a quella di € 200,00 inflittagli (ordinanza n° 35043/2017 del 05 maggio 2017 depositata il 17 luglio 2017.)

Nessuna menzione viene dedicata alla composita questione della necessità del doppio grado di giudizio di merito che tale errore applicativo della pena (come di fatto confermato anche dalla Suprema Corte) ha escluso; ciò pur nella constante evidenziazione da parte della difesa del fulcro della problematica di diritto, citando a supporto giurisprudenza nazionale e comunitaria.

Situazioni di questo tipo, probabilmente originate tanto dal sovraccarico di lavoro a cui sono sottoposti gli operatori del settore tanto dalla naturale tendenza a dedicare una minore attenzione alle questioni di minore spessore, possono generare una sensazione di ingiustizia per la quale valuteremo un possibile ricorso di fronte alla Corte di Strasburgo.

Rimini. 11.09.2017

Avvocato Cristian Brighi                                                                            Dottoressa Debora Amati